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Il principio “chi inquina paga” non è uniformemente applicato nelle diverse politiche e misure dell’UE
Contenuto del documentoL’inquinamento rappresenta un costo significativo per la società e suscita grande preoccupazione nei cittadini dell’UE. In virtù del principio “chi inquina paga”, chi inquina è incentivato a evitare i danni ambientali ed è considerato responsabile dell’inquinamento causato. In generale, la Corte ha riscontrato che tale principio viene integrato e applicato in varia misura nelle diverse politiche ambientali dell’UE, e che la sua copertura e applicazione sono incomplete. Il bilancio dell’UE è talvolta utilizzato per finanziare azioni di bonifica che dovrebbero, in base al principio “chi inquina paga”, essere a carico di chi ha causato l’inquinamento. La Corte raccomanda di integrare maggiormente il principio “chi inquina paga” nella normativa ambientale, rafforzare il regime della responsabilità ambientale a livello dell’UE ed evitare che i fondi dell’UE siano utilizzati per finanziare progetti che dovrebbero essere posti a carico di chi inquina.
Relazione speciale della Corte dei conti europea presentata in virtù dell’articolo 287, paragrafo 4, secondo comma, del TFUE.
Sintesi
IIl principio “chi inquina paga” è un principio fondamentale alla base della politica ambientale dell’Unione europea (UE). In virtù di tale principio, chi inquina è tenuto a sostenere i costi dell’inquinamento causato, compresi i costi delle misure adottate per prevenire, ridurre e porre rimedio all’inquinamento nonché i costi che questo comporta per la società. L’applicazione di tale principio fa sì che chi inquina sia incentivato a evitare i danni ambientali e sia considerato responsabile dell’inquinamento causato. È sempre chi inquina, e non il contribuente, a dover sostenere i costi per ripristinare le condizioni originarie dei siti.
IIQuesta relazione esamina in particolare se il principio sia stato correttamente applicato in quattro settori della politica ambientale dell’UE: inquinamento industriale, smaltimento dei rifiuti, gestione delle risorse idriche e uso del suolo. La Corte ha valutato se le azioni intraprese dalla Commissione in relazione alla direttiva sulla responsabilità ambientale per regolamentare il danno ambientale derivante dall’attività economica avessero prodotto risultati. Infine, la Corte ha esaminato se la Commissione e gli Stati membri avessero evitato che il bilancio dell’UE fosse utilizzato per sostenere spese che avrebbero dovuto essere a carico di chi ha causato l’inquinamento. Nel periodo 2014‑2020, il bilancio dell’UE per la politica di coesione e il programma LIFE hanno destinato circa 29 miliardi di euro a progetti specificamente finalizzati alla tutela ambientale. La Corte ha esaminato la spesa e le azioni dell’UE nel contesto del quadro finanziario pluriennale 2014‑2020.
IIILa Corte ha deciso di sottoporre ad audit questo tema poiché:
- l’inquinamento rappresenta un costo significativo per la società e suscita grande preoccupazione nei cittadini dell’UE;
- il principio “chi inquina paga” è uno strumento fondamentale per raggiungere in modo efficiente e equo gli obiettivi dell’UE in materia ambientale;
- la presente relazione individua le opportunità per integrare meglio il principio nella futura legislazione ambientale e nel finanziamento dei progetti di bonifica ambientale da parte dell’UE e
- le conclusioni raggiunte e le raccomandazioni qui formulate sono pertinenti anche ai fini dell’esame che il Parlamento e il Consiglio dovranno ultimare nel 2023 su tutta la normativa ambientale e sulla valutazione della direttiva sulla responsabilità ambientale da parte della Commissione.
In generale, la Corte ha riscontrato che il principio “chi inquina paga” viene integrato e applicato in varia misura nelle diverse politiche dell’UE in materia ambientale, e che la sua copertura e applicazione sono incomplete. Per quanto riguarda la responsabilità ambientale, le azioni intraprese dalla Commissione per sostenere l’attuazione della direttiva sulla responsabilità ambientale da parte degli Stati membri non hanno ovviato alle principali debolezze, quali la scarsa chiarezza dei concetti e delle definizioni fondamentali e l’assenza di garanzie finanziarie in caso di insolvenza. Il bilancio dell’UE è talvolta utilizzato per finanziare azioni di bonifica che dovrebbero, in base al principio “chi inquina paga”, essere a carico dei soggetti che hanno causato l’inquinamento.
VLa Corte raccomanda alla Commissione di:
- valutare le possibilità per integrare maggiormente il principio “chi inquina paga” nella normativa ambientale;
- esaminare la possibilità di rafforzare l’applicazione della direttiva sulla responsabilità ambientale e
- evitare che i fondi dell’UE siano utilizzati per finanziare progetti che dovrebbero essere posti a carico di chi inquina.
Introduzione
01La politica ambientale dell’Unione europea (UE) mira ad assicurare che tutti i cittadini dell’UE vivano in un ambiente sano, in cui le risorse naturali sono gestite in modo sostenibile e la biodiversità è protetta1. Negli ultimi decenni, è stata registrata una diminuzione significativa delle emissioni di inquinanti nell’aria, nelle acque e nel suolo2, ma l’inquinamento e i danni ambientali restano una sfida importante.
02Nell’UE il 26 % dei corpi idrici sotterranei deve ancora raggiungere un “buono stato chimico” e circa il 60 % delle acque superficiali (fiumi, laghi e acque di transizione e costiere) non è in un buono stato chimico ed ecologico3. Nell’UE vi sono 2,8 milioni di siti potenzialmente contaminati, principalmente da attività industriali e dallo smaltimento dei rifiuti4. L’inquinamento atmosferico, il rischio ambientale più grave nell’UE, è inoltre nocivo per la vegetazione e gli ecosistemi5.
Le origini del principio “chi inquina paga”
03L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha introdotto per la prima volta il principio “chi inquina paga” nel 19726, dichiarando che chi inquina dovrebbe farsi carico delle spese per l’attuazione delle misure di prevenzione e riduzione dell’inquinamento introdotte dalle autorità pubbliche, al fine di garantire che l’ambiente sia mantenuto in uno stato accettabile. I responsabili delle politiche possono richiamarsi a tale principio per ridurre l’inquinamento e ripristinare le condizioni dell’ambiente. L’applicazione di tale principio fa sì che chi inquina sia incentivato a evitare i danni ambientali e sia considerato responsabile dell’inquinamento causato. È sempre chi inquina, e non il contribuente, a dover sostenere i costi che l’inquinamento comporta. In termini economici, ciò costituisce una “internalizzazione” di “esternalità ambientali negative”. Quando i costi dell’inquinamento vengono posti a carico di chi inquina, il prezzo dei beni e dei servizi aumenta per incorporare questi costi. Dato che i consumatori danno la preferenza ai prodotti meno costosi, i produttori sono incentivati a commercializzare prodotti meno inquinanti7.
04Dal 1972, l’ambito di applicazione del principio “chi inquina paga” si è progressivamente esteso (figura 1)8. Il principio riguardava inizialmente solo i costi di prevenzione e riduzione dell’inquinamento, ma è stato successivamente esteso ai costi delle misure adottate dalle autorità per limitare le emissioni di inquinanti. Un’ulteriore estensione del principio ha portato ad includere la responsabilità ambientale: chi inquina deve pagare per il danno ambientale provocato, indipendentemente dal fatto che l’inquinamento che ha originato il danno sia al di sotto dei limiti di legge (noto come “inquinamento residuo ammissibile”) o accidentale9.
Figura 1
Estensione del principio “chi inquina paga”
Fonte: Corte dei conti europea.
Nel 1992, la Dichiarazione delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (comunemente nota come “dichiarazione di Rio”10), ha incluso il principio “chi inquina paga” tra i 27 princìpi guida per lo sviluppo sostenibile futuro.
Il principio “chi inquina paga” nell’UE
Quadro d’intervento
06Il principio “chi inquina paga” è alla base della politica ambientale dell’UE. L’articolo 191, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)11 recita: “La politica dell’Unione in materia ambientale […] è fondata sui princìpi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”. I legislatori dell’UE non sono vincolati a richiamarsi a tale principio quando promulgano norme relative ad ambiti di intervento diversi dall’ambiente, anche quando questi potrebbero avere un significativo impatto sull’ambiente, come, ad esempio, nei settori dei trasporti, della pesca o dell’agricoltura.
07La Commissione europea ha il compito di redigere proposte di normativa ambientale basate sul principio “chi inquina paga”, mentre gli Stati membri hanno il compito di recepire, applicare e far rispettare le direttive e i regolamenti UE in materia ambientale. I legislatori nazionali e UE dispongono di diversi strumenti per applicare tale principio, come mostrato nella figura 2.
Figura 2
Strumenti per l’attuazione del principio “chi inquina paga”
Fonte: Corte dei conti europea, adattato da “Principle of EU Environmental Law, The Polluter Pays Principle” della Commissione.
Negli ultimi decenni, l’UE ha adottato una vasta gamma di norme in materia ambientale. Si è occupata di temi ambientali, come la biodiversità, la silvicoltura, l’uso dei suoli e dei terreni, le risorse idriche e l’atmosfera. Altre politiche riguardano specificamente l’inquinamento, come l’inquinamento industriale e da sostanze chimiche, e i rifiuti. Gli atti legislativi in materia ambientale pertinenti ai fini dell’applicazione del principio “chi inquina paga” includono:
- la direttiva 2010/75/UE sulle emissioni industriali (IED, acronimo di Industrial Emissions Directive), che fissa i valori limite di emissione sulla base di un sistema di autorizzazione per circa 52 000 grandi installazioni industriali nell’UE. La IED è basata su un approccio integrato in virtù del quale le autorizzazioni devono tener conto della performance ambientale complessiva delle installazioni, che comprende, ad esempio, le emissioni di sostanze inquinanti, l’uso delle materie prime, l’efficienza energetica e il ripristino del sito al momento della chiusura;
- la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, che riguarda la gestione dei rifiuti. Altri strumenti giuridici affrontano questioni specifiche e particolari tipi di rifiuti, come i rifiuti da imballaggi, le plastiche monouso, le apparecchiature elettriche ed elettroniche, le batterie e gli accumulatori, i veicoli fuori uso, i rifiuti minerari, le discariche e la spedizione di rifiuti;
- la direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, che stabilisce la politica in materia di acque, insieme alle direttive collegate, tra cui la direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane 91/271/CEE, la direttiva sull’acqua potabile (UE) 2020/2184 e la direttiva Alluvioni 2007/60/CE. Altre norme settoriali riguardano l’inquinamento delle acque, come la direttiva Pesticidi 2009/128/CE o la direttiva Nitrati 91/676/CEE;
- la direttiva sulla responsabilità ambientale 2004/35/CE (ELD, acronimo di Environmental Liability Directive), che stabilisce il quadro dell’UE in materia di responsabilità ambientale. La responsabilità ambientale fa sì che gli operatori economici che producono un danno per l’ambiente siano tenuti a pagare il costo del ripristino delle condizioni originarie, e siano così incentivati ad evitare il danno. In base a tale direttiva, quando un’attività economica considerata rischiosa (come specificato nell’allegato III della direttiva) produce un danno ambientale significativo al terreno, alle acque e alla biodiversità, l’operatore responsabile è tenuto ad adottare tutte le necessarie misure di riparazione a proprie spese. Per le attività economiche che non sono considerate rischiose per l’ambiente, tra cui l’agricoltura, la direttiva prevede che gli operatori rimedino al danno causato alla biodiversità soltanto in caso di comportamento doloso o colposo;
- le imprese che detengono depositi di sostanze chimiche pericolose sono inoltre soggette alla direttiva Seveso 2012/18/UE, che mira a prevenire incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose;
- la direttiva Uccelli 2009/147/CE e la direttiva Habitat 92/43/CEE, denominate “direttive sulla Natura”, che costituiscono le colonne portanti della politica dell’UE in materia di biodiversità. Le direttive sulla Natura impongono agli Stati membri di proteggere gli habitat naturali. Gli Stati membri possono usare a tal fine fondi dell’UE. La direttiva Habitat stabilisce esplicitamente che il principio “chi inquina paga” ha un’applicazione limitata in materia di conservazione della natura. La direttiva sulla responsabilità ambientale contempla i danni significativi alle specie e agli habitat protetti.
Non esiste una normativa quadro dell’UE relativa all’inquinamento del suolo. Tuttavia, sono stati individuati circa 35 atti normativi, interventi strategici e strumenti di finanziamento potenzialmente attinenti alla protezione del suolo12.
Finanziamenti UE
10L’inquinamento comporta costi significativi per i cittadini dell’UE. Non esiste una valutazione globale del costo complessivo dell’inquinamento per la società. Un recente studio realizzato per conto della Commissione ha stimato che il mancato rispetto degli obblighi stabiliti dalla normativa ambientale dell’UE ammonti a circa a 55 miliardi di euro all’anno in termini di costi e mancati benefici13.
11Una quota significativa del bilancio dell’UE è destinata al conseguimento degli obiettivi dell’UE in materia di cambiamenti climatici e questioni ambientali. Durante il periodo 2014‑2020, l’UE si è impegnata a spendere almeno il 20 % del suo bilancio totale per l’azione per il clima. L’UE integra obiettivi ambientali in molti dei suoi programmi di finanziamento. Ad esempio, la Commissione ha stabilito che 66 miliardi di euro spesi per la politica agricola comune e 1 miliardo speso per la politica della pesca nel corso del periodo 2014‑2020 abbiano favorito la biodiversità, anche se una recente relazione mostra che questi dati sono sovrastimati14.
12Il bilancio dell’UE finanzia progetti per la bonifica di siti inquinati e di protezione ambientale principalmente attraverso i fondi della politica di coesione (ossia il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo di coesione), nell’ambito del tema generale “Ambiente e uso efficiente delle risorse”, e il programma LIFE. Questi fondi finanziano i costi delle infrastrutture necessarie per il trattamento delle acque reflue e della gestione dei rifiuti in alcuni Stati membri, nonché misure per il monitoraggio dello stato dell’ambiente e lo sviluppo di infrastrutture verdi15.
13LIFE16 è un programma dell’UE che si occupa di ambiente e cambiamenti climatici. Per il periodo 2014‑2020, il quadro finanziario pluriennale ha reso disponibili 2,6 miliardi di euro per il sottoprogramma Ambiente all’interno del programma LIFE.
14Nel periodo 2014‑2020, il bilancio dell’UE per la politica di coesione e LIFE hanno destinato circa 29 miliardi di euro a progetti finalizzati specificamente alla tutela ambientale (figura 3).
Figura 3
Fondi UE della politica di coesione e del sottoprogramma Ambiente di LIFE accantonati per progetti ambientali (2014‑2020, in miliardi di euro)
Fonte: Corte dei conti europea, sulla base dei dati estratti nell’aprile 2021 dalla banca dati della Commissione sulla spesa programmata dell’UE nel quadro dei fondi strutturali e di investimento dell’UE e del sottoprogramma di LIFE per l’ambiente.
Estensione e approccio dell’audit
15L’inquinamento rappresenta un costo significativo per la società e suscita grande preoccupazione nei cittadini dell’UE. Il principio “chi inquina paga” è uno strumento fondamentale per raggiungere in modo efficiente e equo gli obiettivi europei in materia ambientale. In precedenti relazioni, la Corte aveva riscontrato casi di mancata applicazione del principio “chi inquina paga”17. Tuttavia, in passato non aveva analizzato il principio “chi inquina paga” in sé. La presente relazione individua le opportunità per integrare meglio tale principio nella futura legislazione ambientale e nel finanziamento dei progetti di risanamento ambientale da parte dell’UE. Le conclusioni raggiunte e le raccomandazioni qui formulate sono utili ai fini dell’esame che il Parlamento e il Consiglio dovranno ultimare nel 2023 su tutta la legislazione ambientale dell’UE e sulla valutazione della direttiva sulla responsabilità ambientale da parte della Commissione.
16La Corte ha esaminato il quadro delle politiche dell’UE relativo al principio “chi inquina paga”. La Corte ha esaminato in particolare se:
- il principio sia stato correttamente applicato in quattro settori della politica ambientale dell’UE: inquinamento industriale, smaltimento dei rifiuti, gestione delle risorse idriche e uso del suolo;
- le azioni intraprese dalla Commissione in relazione alla direttiva sulla responsabilità ambientale abbiano prodotto risultati;
- la Commissione e gli Stati membri abbiano evitato che il bilancio dell’UE fosse utilizzato per sostenere spese che avrebbero dovuto essere a carico dei responsabili dell’inquinamento.
La Corte ha esaminato la spesa e le azioni dell’UE nel contesto del quadro finanziario pluriennale 2014‑2020. L’audit non ha preso in esame i settori dell’energia e del clima, né l’inquinamento atmosferico, in quanto questi temi sono stati oggetto di numerose altre relazioni18. Dall’ambito in esame sono anche escluse le tasse ambientali degli Stati membri.
18Nel corso dell’audit la Corte:
- ha esaminato le relazioni della Commissione e delle agenzie competenti e altre azioni relative all’applicazione del principio “chi inquina paga” nelle politiche dell’UE;
- ha ottenuto spiegazioni dalle autorità nazionali responsabili dell’attuazione della ELD in Italia, Polonia e Portogallo. Questi Stati membri sono stati selezionati in base al numero di casi segnalati nel quadro della suddetta direttiva e tenendo conto dell’equilibrio geografico;
- ha esaminato 42 progetti di risanamento ambientale. A tal fine, la Corte ha selezionato progetti per ripristinare le condizioni dell’ambiente del valore di 180 milioni di euro a titolo della politica di coesione e di LIFE in Italia, Polonia e Portogallo, nel periodo 2014‑2020. La Corte ha selezionato questi progetti in quanto finanziavano lavori di decontaminazione di siti interessati da inquinamento antropico.
Osservazioni
Il principio “chi inquina paga” è alla base della normativa ambientale dell’UE
19La Corte ha esaminato in che modo l’UE abbia integrato il principio “chi inquina paga” nei suoi atti normativi relativi a settori fondamentali, quali la IED per l’inquinamento industriale, la direttiva quadro sui rifiuti per l’inquinamento da rifiuti, la direttiva quadro sulle acque per l’inquinamento idrico e varie direttive e regolamenti relativi all’inquinamento del suolo. Ha verificato inoltre se tali atti contenessero disposizioni relative all’applicazione del principio “chi inquina paga” e in che misura chi inquina sia tenuto pagare per l’inquinamento causato.
Il principio “chi inquina paga” si applica agli impianti più inquinanti, ma il costo dell’inquinamento residuo per la società resta alto
20La IED si applica a 33 settori industriali (cfr. allegato I). In alcuni settori industriali, si applica a tutte le installazioni, mentre in altri solo a quelle più grandi (ad esempio, centrali elettriche con una potenza termica nominale totale superiore a 50 MW).
21Le installazioni interessate possono operare solo se in possesso di una autorizzazione che stabilisca le specifiche norme e i valori limite di emissione sulla base delle “conclusioni sulle migliori tecniche disponibili” (anche dette “conclusioni sulle BAT”). I relativi “documenti di riferimento sulle BAT” forniscono soluzioni tecniche per limitare l’inquinamento, pur mantenendo le installazioni industriali economicamente sostenibili. La Commissione rivede e aggiorna periodicamente le conclusioni sulle BAT: tutte le installazioni esistenti a cui si applicano sono tenute ad osservarle dopo un periodo transitorio di quattro anni e le nuove installazioni devono essere conformi da subito. Le autorità degli Stati membri ispezionano le installazioni a cui si applica la IED, sanzionano quelle non conformi e le chiudono nei casi più gravi.
22Nel 2020, la Commissione ha pubblicato una valutazione della IED19, da cui risulta che il costo dei danni causati dalle emissioni delle installazioni IED nell’atmosfera si era ridotto di circa il 50 % tra il 2010 e il 2017. La Commissione ha stimato i costi e i benefici della IED per alcuni settori: ad esempio, nel settore siderurgico, il rispetto della IED costa circa 90 milioni di euro all’anno, mentre la prevenzione dell’inquinamento consente di risparmiare 932 milioni di euro all’anno20. Nella comunicazione sul Green Deal europeo21, la Commissione ha annunciato che proporrà una revisione delle misure dell’UE volte a combattere l’inquinamento provocato dai grandi impianti industriali.
23I proprietari degli impianti devono sostenere i costi della messa in conformità con le condizioni previste nelle autorizzazioni IED. Ciò include l’adozione di misure per mantenere le emissioni entro i limiti di legge, ossia “internalizzare” i costi della prevenzione e della riduzione dell’inquinamento. Tuttavia, è possibile utilizzare fondi pubblici per sostenere azioni che vanno al di là dei requisiti di legge vigenti22. Se le installazioni causano un danno ambientale significativo, sono soggette alla direttiva ELD (paragrafi 42-62), ossia sono tenute a pagare per la riparazione del danno. Una maggioranza di Stati membri (17) non impone alle installazioni di sostenere i costi delle azioni di riparazione intraprese se il danno ambientale risulta da emissioni ammesse nel quadro di un’autorizzazione conferita23 o se all’installazione non è attribuibile un comportamento doloso o colposo.
24La IED disciplina le installazioni industriali più inquinanti, come indicato al paragrafo 20. La IED non impone alle installazioni di sostenere il costo dell’impatto dell’inquinamento residuo per la società. Nel 2014, l’Agenzia europea per l’ambiente (AEA) ha stimato che il costo per la società del danno ambientale dovuto all’inquinamento atmosferico residuo prodotto da 14 000 grandi impianti industriali nel periodo 2008‑2012 ammontasse tra i 329 e i 1 053 miliardi di euro24.
25Tra i 42 progetti di bonifica ambientale esaminati, la Corte ha individuato un progetto che mira a ridurre l’inquinamento generato da una grande industria siderurgica non conforme alla IED (riquadro 1).
Riquadro 1
Il mancato rispetto della IED ha determinato un significativo inquinamento: il caso di un grande impianto siderurgico in Italia
Nel 2005, la Corte di Cassazione italiana ha stabilito che una società proprietaria di un grande impianto siderurgico era responsabile di inquinamento atmosferico, scarico di materiali pericolosi ed emissione di particolato. Nel 2010, il comune in cui è ubicato l’impianto ha dichiarato che i costi della bonifica del danno ambientale avrebbero raggiunto i 2 miliardi di euro e ha intrapreso un’azione legale al fine di ottenere un risarcimento. Nel 2011, la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha concluso che l’Italia non aveva rispettato la IED. Nel 2015, la società è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria dallo Stato. Nel 2017, è stato avviato un procedimento penale a carico dei precedenti proprietari degli impianti, concluso con un accordo transattivo e la messa a disposizione della società di oltre un miliardo di euro. I fondi recuperati sono usati dallo Stato italiano per le attività di decontaminazione. Nel 2019, una Corte d’appello italiana ha concesso al Comune un risarcimento, che però la società che ha causato il danno non era in grado di pagare.
Un progetto da 375 000 euro finanziato dall’UE aveva l’obiettivo di individuare e affrontare il problema dell’inquinamento in un altro comune situato vicino all’impianto siderurgico. Il progetto consisteva in un’analisi ambientale e in una valutazione del rischio per una superficie agricola di quasi 6 000 ettari. Il progetto ha individuato una grave contaminazione industriale che comporta rischi significativi per la salute.
La normativa in materia di rifiuti integra il principio “chi inquina paga”, ma non garantisce che chi inquina copra l’intero costo dell’inquinamento
Figura 5
Statistiche sui rifiuti
Fonte: tutti dati Eurostat.
I rifiuti sono una fonte di inquinamento per l’aria, l’acqua e il suolo. Il quadro normativo dell’UE in materia di rifiuti intende applicare una “gerarchia dei rifiuti” (figura 6) al fine di ridurre i rifiuti e utilizzare come risorsa quelli non evitabili.
Figura 6
La gerarchia dei rifiuti
Fonte: direttiva quadro sui rifiuti
La direttiva impone agli Stati membri obiettivi vincolanti25. Ad esempio, entro il 2025 il 55 % dei rifiuti urbani deve essere preparato per il riutilizzo o il riciclaggio (arrivando al 60 % entro il 2030 e al 65 % entro il 2035, con non più del 10 % di rifiuti conferiti in discarica).
28La direttiva quadro sui rifiuti prevede che: “Secondo il principio “chi inquina paga”, i costi della gestione dei rifiuti, compresi quelli per la necessaria infrastruttura e il relativo funzionamento, sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti”. Gli Stati membri decidono se i costi della gestione dei rifiuti debbano essere sostenuti dall’utilizzatore finale (ad esempio, il consumatore che smaltisce i rifiuti) o se debbano essere sostenuti in parte o integralmente dal produttore del prodotto che è diventato rifiuto, in base a quella che viene definita la “responsabilità estesa del produttore”. Questo regime non è l’unico modo per applicare il principio “chi inquina paga”. Ad esempio, la direttiva sulle borse di plastica impone agli Stati membri di adottare misure, come target nazionali di riduzione e/o strumenti economici (quali tariffe, imposte).
29Nell’ambito della “responsabilità estesa del produttore”, i produttori sono responsabili della gestione dei loro prodotti una volta che questi diventano rifiuti. Il prezzo pagato dai produttori e dai consumatori riflette quindi il costo della gestione dei rifiuti, riducendo così il costo a carico delle autorità pubbliche e dei contribuenti. I produttori sono inoltre incentivati a sviluppare prodotti più ecocompatibili, che evitino di produrre rifiuti non necessari. I regimi basati sulla “responsabilità estesa del produttore” sono obbligatori per determinati flussi di rifiuti, come i rifiuti elettrici ed elettronici, le batterie, gli accumulatori e i veicoli, e saranno obbligatori per tutti i rifiuti da imballaggio, le plastiche monouso e gli attrezzi da pesca entro il 2024.
30Gli oneri gravanti sui cittadini o sulle imprese dovrebbero essere proporzionali ai rifiuti generati e tenere conto del danno ambientale causato. Uno studio sul finanziamento della gestione dei rifiuti26 indica che, in base ai dati, le esternalità ambientali sono internalizzate solo in misura limitata negli oneri d’uso pagati dalle famiglie.
31Il bilancio dell’UE prevedeva di contribuire con 4,3 miliardi di euro nel periodo 2014‑2020, principalmente attraverso la politica di coesione, al finanziamento di infrastrutture di gestione dei rifiuti per la raccolta, la cernita e il trattamento dei rifiuti.
Chi inquina non sostiene il costo pieno dell’inquinamento idrico
Figura 7
Le risorse idriche in sintesi
Fonte: tutti i dati sono tratti dalla valutazione delle acque europee 2018 dell’AEA.
La direttiva quadro sulle acque stabilisce un quadro comune per proteggere tutti i tipi di acqua nell’UE e prevenire un ulteriore deterioramento della qualità delle acque. Fissa obiettivi per i corpi idrici sotterranei e superficiali.
33L’OCSE ha stimato27 che gli Stati membri spendono già circa 100 miliardi di euro all’anno per l’approvvigionamento idrico e i servizi igienico-sanitari e che avranno bisogno (ad eccezione della Germania) di aumentare tale spesa di oltre il 25 % per conseguire gli obiettivi della legislazione dell’UE in materia di trattamento delle acque reflue e di acqua potabile. Tale importo non include gli investimenti necessari per rinnovare le infrastrutture esistenti o per conseguire gli obiettivi della direttiva quadro sulle acque e della direttiva Alluvioni.
34L’articolo 9 della direttiva quadro sulle acque impone agli Stati membri di “[tener conto] del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, […], e, in particolare, secondo il principio “chi inquina paga””. Gli Stati membri sono tenuti a garantire che il contributo dei settori industriale, agricolo e domestico al recupero dei costi per i servizi idrici sia adeguato in relazione al loro consumo idrico. La figura 8 mostra l’utilizzo di acqua per settore economico.
Figura 8
Utilizzo dell’acqua per settore economico in Europa, 2017
Fonte: Corte dei conti europea, sulla base dei dati dell’AEA per i paesi membri dell’Agenzia e per i paesi cooperanti.
Nel definire la propria politica tariffaria in materia di acqua, gli Stati membri possono tenere conto degli effetti sociali, ambientali ed economici del recupero dei costi. Dispongono quindi di un margine di discrezionalità nel decidere chi debba pagare, quanto e per quale servizio. La sentenza della Corte di giustizia dell’UE C‑525/12 ha confermato che gli Stati membri non devono necessariamente applicare il principio del recupero dei costi a tutti i servizi idrici.
36Nell’UE, gli utenti pagano in media circa il 70 % del costo della fornitura di servizi idrici (attraverso tariffe idriche), mentre i fondi pubblici finanziano il restante 30 %, sia pur con notevoli differenze tra le regioni e gli Stati membri28. Le utenze domestiche nell’UE pagano la maggior parte dei costi dell’approvvigionamento idrico29 e dei servizi igienico-sanitari anche se consumano solo il 10 % dell’acqua, come mostra la figura 8. L’agricoltura, settore che esercita la pressione maggiore sulle risorse rinnovabili di acqua dolce30, contribuisce in misura minore. Nel 2011, uno studio ha stimato che in Francia l’inquinamento agricolo comportava una spesa aggiuntiva per le famiglie pari a 494 euro all’anno per nucleo familiare nelle località più colpite31.
37Nel 201932, la Commissione ha ravvisato la necessità che gli Stati membri compiano ulteriori progressi nell’integrare i costi ambientali e delle risorse nelle tariffe idriche. Benché siano stati compiuti progressi nell’affrontare il problema degli inquinanti specifici, per molte imprese il prezzo dell’acqua non copre il costo pieno imposto dalle sostanze inquinanti che esse rilasciano nelle acque.
38Il principio del recupero dei costi è difficile da applicare all’inquinamento da fonti diffuse, ad esempio dall’agricoltura, dove è difficile individuare chi inquina. Spesso il settore agricolo non paga per il trattamento delle acque reflue, dato che la maggior parte delle acque utilizzate non viene scaricata nella rete fognaria (e quindi le acque non sono trattate). Nell’UE, l’inquinamento agricolo diffuso da nitrati e pesticidi è la principale causa del fatto che le acque sotterranee non raggiungono un buono stato chimico. L’inquinamento da nitrati rappresenta un grave rischio per il futuro dei corpi idrici sotterranei, dato che gli esperti hanno dimostrato33 che grandi quantità di nitrati sono attualmente accumulate negli strati rocciosi tra il suolo e i corpi idrici sotterranei. Poiché i nitrati attraversano lentamente la roccia, ci può volere un secolo o più prima che gli inquinanti raggiungano i corpi idrici sotterranei, ritardando così l’impatto dei cambiamenti delle pratiche agricole sulla qualità delle acque sotterranee.
Non esiste un quadro legislativo generale dell’UE per la protezione dall’inquinamento del suolo
Figura 9
Inquinamento del suolo in breve
Fonte: EEA Signals 2019, JRC, Status of local soil contamination in Europe, Eionet National Reference Centre Soil.
Varie direttive e regolamenti dell’UE contribuiscono a prevenire e mitigare l’inquinamento del suolo, disciplinando i settori che esercitano maggiori pressioni sul suolo, come l’industria e l’agricoltura (cfr., ad esempio, paragrafi 20-25 e 38). Nel 2006 la Commissione ha proposto una “direttiva quadro per la protezione del suolo” per disciplinare la prevenzione della contaminazione e del degrado del suolo, nonché l’individuazione, la registrazione e la riqualificazione dei siti contaminati. Il Parlamento europeo ha espresso un parere positivo sulla proposta, a differenza del Consiglio. La Commissione ha ritirato la proposta nel maggio 2014.
40Non esistono obiettivi comuni a livello dell’UE in materia di inquinamento del suolo e bonifica dei siti contaminati. Uno studio finanziato dalla Commissione34 ha dimostrato che alcuni Stati membri dispongono di una legislazione nazionale molto completa, mentre altri non hanno predisposto un’azione coordinata in materia di protezione del suolo.
41La decontaminazione dei suoli inquinati è costosa: nel 2006 la Commissione ha stimato il costo totale della bonifica dei suoli contaminati nell’UE a 119 miliardi di euro35. Le risorse pubbliche, tra cui i fondi dell’UE, finanziano oltre il 42 % delle attività di bonifica36: molte attività inquinanti hanno avuto luogo molto tempo prima, per cui vi è un maggior rischio che chi inquina non esista più, non possa essere identificato o sia insolvente. Inoltre, il principio “chi inquina paga” è di difficile applicazione in caso di contaminazione diffusa dei suoli, data la difficoltà intrinseca di attribuire la responsabilità a specifici soggetti che hanno provocato l’inquinamento.
Il piano d’azione della Commissione per migliorare l’applicazione della ELD non ha prodotto i risultati attesi
42La Corte ha esaminato la valutazione della ELD del 2016 e ha verificato se le azioni intraprese dalla Commissione a seguito di tale valutazione abbiano nel frattempo colmato le lacune individuate.
A seguito della valutazione della ELD, la Commissione ha adottato un piano d’azione per colmare le lacune individuate
43La direttiva prevedeva che:
- gli Stati membri sottoponessero alla Commissione, entro aprile 2013, i dati relativi a tutti i casi di danno ambientale per i quali era stato richiesto un risarcimento ai sensi della ELD nel periodo 2007‑2013, poi nel 2022 e, successivamente ogni cinque anni e
- la Commissione riferisse al Parlamento europeo e al Consiglio nel 2014 e successivamente nel 2023 e ciclicamente ogni cinque anni.
Gli Stati membri hanno segnalato 1 230 casi trattati nell’ambito della direttiva ELD nel periodo 2007‑201337. Come illustrato nella figura 10, il numero di casi variava notevolmente da uno Stato membro all’altro: due paesi, Ungheria e Polonia, hanno segnalato oltre l’85 % del numero totale di casi. Un documento di lavoro dei servizi della Commissione ha concluso che la ragione principale di queste notevoli differenze era l’applicazione non uniforme della direttiva ELD nei diversi Stati membri38.
Figura 10
Casi ELD segnalati dagli Stati membri dell’UE per il periodo 2007‑2013
Fonte: Corte dei conti europea, sulla base della valutazione della Commissione del 2016.
La valutazione della ELD eseguita dalla Commissione nel 2016 era giunta alla conclusione che la direttiva restava pertinente e che gli Stati membri avevano compiuto progressi nel conseguimento degli obiettivi stabiliti. Rilevava tuttavia che alcune questioni relative all’elaborazione o all’attuazione delle politiche avevano compromesso l’efficienza e l’efficacia del regime di responsabilità:
- mancanza di dati coerenti e confrontabili sull’attuazione della ELD;
- scarsa conoscenza del regime da parte delle parti interessate;
- concetti e definizioni chiave poco chiari;
- limitazioni dell’ambito di applicazione dovute a eccezioni e mezzi di difesa e
- assenza di garanzie finanziarie in caso di insolvenza.
Sulla base di tale valutazione, la Commissione, in consultazione con esperti degli Stati membri, ha adottato un programma di lavoro pluriennale di cui alla ELD per il periodo 2017‑202039 per colmare le lacune individuate. Nel 2020 la Commissione ha approvato un nuovo programma di lavoro che prevedeva azioni per il periodo 2021‑202440.
47Una delle azioni riguardava la comunicazione dei dati. La valutazione concludeva che la qualità dei dati comunicati era scarsa e aveva impedito alla Commissione di giungere a conclusioni valide in merito all’attuazione della ELD. La valutazione indicava che, mentre alcuni Stati membri avevano presentato dati dettagliati e ben strutturati, altri non avevano fornito tutte le informazioni necessarie ad una valutazione completa.
48Per migliorare la coerenza e la qualità dei dati, nel 2017 la Commissione ha sviluppato un sistema informativo ELD. Tale sistema non è però operativo. La Commissione intende incoraggiarne l’uso, discutendo con gli Stati membri su come organizzare la raccolta dei dati a livello nazionale. Date le differenze tra i sistemi giuridici, non vi è alcuna garanzia che questo nuovo sistema condurrà ad un’analisi uniforme dei dati in tutta l’UE.
I concetti fondamentali della ELD rimangono indefiniti
49La ELD definisce tre tipi di danno ambientale che rientrano nel suo campo di applicazione: le specie e gli habitat naturali protetti, le acque e il terreno41. La direttiva si applica quando tale “danno ambientale” è considerato “significativo”. La direttiva non specifica i criteri per valutare il danno né determinare la soglia di rilevanza per il danno alle acque o al terreno.
50La valutazione della Commissione del 2016 suggeriva che la scarsa chiarezza e l’applicazione non uniforme dei concetti fondamentali della ELD (“danno ambientale” e “carattere significativo”) avevano ostacolato il conseguimento dell’obiettivo della direttiva, ossia raggiungere un elevato livello di protezione ambientale nell’UE42.
51L’interpretazione di cosa costituisca un danno ambientale significativo, e sia quindi soggetto all’applicazione del principio “chi inquina paga” ai sensi della direttiva, varia notevolmente da uno Stato membro all’altro. Un evento che fa scattare l’applicazione della ELD in uno Stato membro può non determinarla in un altro. Nel caso specifico della definizione di cosa costituisca un “danno al terreno”, la ELD fa riferimento unicamente ai danni che determinano un rischio significativo per la salute umana, ma non per l’ambiente.
52Nel quadro del programma di lavoro pluriennale 2017‑2020, la Commissione ha incaricato un contraente di redigere un documento di “intesa comune” che fornisse ulteriori chiarimenti sui concetti fondamentali della ELD. Né la Commissione né gli Stati membri lo hanno approvato43.
53Nel 2017, il Parlamento europeo ha affermato che “la differente interpretazione e applicazione della “soglia di rilevanza” per il danno ambientale costituisce uno dei principali ostacoli ad una effettiva ed uniforme applicazione della ELD”44. Il Parlamento europeo invitava la Commissione a rivedere la definizione di “danno ambientale” e a chiarire il concetto di “soglia di rilevanza”.
54Nel 2019, una modifica della ELD45 ha imposto alla Commissione di elaborare orientamenti sul concetto di “danno ambientale” entro la fine del 2020. Dopo consultazione degli Stati membri, la Commissione ha diffuso una nota nel marzo 202146riguardo alla propria interpretazione giuridica della definizione di “danno ambientale”. L’interpretazione della Commissione non è vincolante e non contiene criteri o soglie specifici a partire dalle quali si dovrebbe applicare la ELD, dato che ciò comporterebbe una modifica della normativa.
55La rete dell’Unione europea per l’attuazione e il controllo del rispetto del diritto dell’ambiente (IMPEL) ha ravvisato la necessità che gli operatori nazionali condividano le esperienze in materia di rilevazione, individuazione e determinazione dei danni ambientali. A tal fine, I’IMPEL sta elaborando un manuale che fornisca alle parti interessate i criteri dettagliati per determinare il “danno ambientale”, che intende pubblicare nel 202147. Nel programma di lavoro 2021‑2024, la Commissione ha dichiarato che intende cooperare con il progetto IMPEL e utilizzare i risultati del progetto nell’ambito dello sviluppo di capacità. La Commissione non ha previsto alcuna azione specifica al riguardo nel suo programma di lavoro 2021‑2024.
Alcuni Stati membri impongono alle imprese industriali di assicurarsi contro i rischi ambientali
56Quando i costi degli interventi per porre rimedio al danno ambientale superano il valore delle attività dell’operatore, in caso di insolvenza quest’ultimo non è in grado di completare l’intervento di ripristino: i costi finiscono quindi per essere posti a carico delle casse pubbliche.
57Gli Stati membri non erano tenuti a fornire informazioni sui costi di ripristino per il ciclo di rendicontazione 2007‑2013. Dodici Stati membri hanno fornito informazioni su tali costi: il 96 % dei progetti di bonifica è costato meno di 1 milione di euro48. Dall’analisi svolta dalla Corte sui progetti di bonifica i cui costi sono stati sostenuti dal bilancio dell’UE è emerso che si trattava spesso di casi in cui i costi di bonifica erano considerevoli rispetto alla capacità finanziaria dell’operatore e non esisteva alcuna garanzia finanziaria (paragrafo 68).
58La direttiva ELD impone agli Stati membri di “incoraggiare lo sviluppo, da parte di operatori economici e finanziari appropriati, di strumenti e mercati di garanzia finanziaria, […] per assolvere alle responsabilità ad essi incombenti”49. La garanzia finanziaria può assumere la forma, tra l’altro, di una polizza assicurativa, di un contributo a un fondo ambientale, di una garanzia bancaria, di un’obbligazione o di una riserva propria. Gli Stati membri non sono tenuti a rendere obbligatoria tale garanzia finanziaria.
59Sette Stati membri (Cechia, Irlanda, Spagna, Italia, Polonia, Portogallo e Slovacchia) richiedono una garanzia finanziaria per alcune o per tutte le passività ambientali, come illustrato nella figura 11.
Figura 11
Garanzia finanziaria per le passività di cui alla ELD nell’UE
Fonte: Corte dei conti europea, sulla base dei dati di una relazione di Stevens & Bolton LLP.
Uno studio preparato per il Parlamento europeo ha concluso che il problema dell’insolvenza può essere affrontato richiedendo una garanzia finanziaria obbligatoria. Ad esempio, il Portogallo impone una garanzia finanziaria obbligatoria per tutte le attività che comportano un rischio ambientale individuate dalla direttiva ELD. Il Portogallo accetta un’ampia gamma di strumenti di garanzia finanziaria, tra cui polizze assicurative, garanzie bancarie, fondi ambientali e fondi propri. Tale paese non ha segnalato alcun caso di insolvenza che abbia impedito l’applicazione della responsabilità ambientale50.
61Nell’ambito del programma di lavoro pluriennale 2017‑2020, la Commissione ha finanziato uno studio sulla disponibilità e sulla domanda di polizze assicurative negli Stati membri51. Da tale studio è emerso che le polizze assicurative che coprono la responsabilità delle imprese a norma della ELD, lo strumento di garanzia finanziaria più diffuso, non erano ampiamente disponibili in tutta l’UE e non esistevano in alcuni Stati membri. Inoltre, la disponibilità non corrispondeva necessariamente alla domanda, per cui vi erano paesi in cui vi era ampia disponibilità di queste polizze, ma la relativa domanda era modesta. Lo studio dimostrava che negli Stati membri in cui la garanzia finanziaria per responsabilità disciplinate dalla ELD era obbligatoria, tale obbligo aveva determinato lo sviluppo del mercato assicurativo.
62Nel programma di lavoro 2021‑2024, la Commissione ha previsto uno studio di follow-up per esaminare le sovrapposizioni tra la legislazione nazionale preesistente in materia di responsabilità ambientale e l’applicazione della ELD in ciascuno Stato membro. Prevede inoltre di incoraggiare gli Stati membri che non hanno introdotto una garanzia finanziaria obbligatoria per la responsabilità ambientale ai sensi della ELD a valutare la possibilità di estendere gli obblighi esistenti al riguardo, includendo quelli connessi alla responsabilità ai sensi della ELD, nonché di valutare l’introduzione di un regime di responsabilità secondaria per altri soggetti, quali amministratori e dirigenti e società madri52.
L’UE ha finanziato progetti di risanamento ambientale
63Le autorità degli Stati membri dovrebbero garantire che, ogniqualvolta possibile, chi inquina sostenga i costi dell’inquinamento causato. La disciplina dell’UE sull’utilizzo dei fondi pubblici per la tutela dell’ambiente53 specifica le condizioni in cui tali investimenti sono possibili in relazione al principio “chi inquina paga”:
- sono ammessi finanziamenti pubblici per ridurre l’inquinamento da emissioni industriali, quando l’investimento mira a consentire al beneficiario di adottare misure che vanno oltre le norme applicabili dell’UE o aumentare la tutela ambientale in assenza di tali norme (paragrafo 23). I finanziamenti pubblici sono inoltre autorizzati per prepararsi alle future norme dell’UE;
- per il risanamento di siti contaminati, i finanziamenti pubblici sono consentiti nel caso in cui l’inquinatore non sia stato identificato o non possa essere considerato giuridicamente obbligato a finanziare l’intervento di risanamento;
- i finanziamenti pubblici per progetti di gestione dei rifiuti non possono essere utilizzati per consentire di esonerare un operatore che genera rifiuti dal sostenere il costo del relativo trattamento.
Per verificare l’applicazione del principio “chi inquina paga” nel caso di progetti cofinanziati con fondi UE, la Corte ha analizzato 42 progetti (figura 12) per un valore di 180 milioni di euro a titolo dei Fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE) e dei fondi LIFE. I progetti erano ubicati in otto regioni in tre Stati membri: 19 in Italia, 10 in Polonia e 13 in Portogallo. La Corte ha esaminato se, nel finanziare tali progetti, l’autorità responsabile avesse preso in considerazione l’applicazione del principio “chi inquina paga”, in particolare cercando di individuare il soggetto che aveva causato l’inquinamento, richiedendo il contenimento dell’inquinamento generato e la bonifica della zona interessata e avviando procedure per recuperare i fondi pubblici spesi.
Figura 12
Progetti selezionati
Fonte: Corte dei conti europea.
I fondi dell’UE sono stati utilizzati per bonificare i siti interessati da “inquinamento orfano”
65L’“inquinamento orfano” è quell’inquinamento provocato in passato, a cui non è possibile applicare il principio “chi inquina paga” perché chi l’ha causato non è noto, non esiste più o non può essere obbligato a pagare per il danno prodotto. L’ELD prende atto di questa limitazione e si applica all’inquinamento provocato dopo il 2007. L’inquinamento orfano è prevalentemente riconducibile a precedenti attività industriali, che hanno contaminato i terreni con metalli, catrame e altre sostanze pericolose54.
66Venti dei 42 progetti esaminati dagli auditor della Corte riguardano l’inquinamento orfano (con una dotazione di 62,1 milioni di euro). In questi casi, non è stato possibile applicare il principio “chi inquina paga” ed è stato necessario utilizzare fondi pubblici, come illustrato nel riquadro 2.
Riquadro 2
“Inquinamento orfano” in Portogallo e in Italia a cui non si applica il principio “chi inquina paga”
Nel 2011, il Portogallo ha pubblicato un elenco di 175 miniere abbandonate che richiedevano un’accurata decontaminazione perché contenevano solfuri metallici o minerali radioattivi. La Corte ha esaminato tre progetti finanziati dai fondi SIE relativi a miniere abbandonate e utilizzate tra il XIX e il XX secolo. Il contributo UE previsto è di 9,1 milioni di euro tra il 2015 e il 2021. I progetti riguardano il ripristino delle miniere e delle zone circostanti. Poiché le attività minerarie risalivano a parecchi decenni prima, nessun operatore economico poteva essere chiamato a rispondere del danno ambientale provocato, dato che non esisteva più e non poteva essere più considerato responsabile dei danni oppure non aveva l’obbligo giuridico di decontaminare il terreno nel periodo in cui operava.
La Corte ha esaminato un progetto finanziato dai fondi SIE, del valore di 1,9 milioni di euro, per la decontaminazione di un terreno in Puglia occupato in passato da una centrale elettrica a gas in funzione tra la metà del XIX secolo e gli anni sessanta. L’impianto aveva contaminato circa 20 000 m² di terreno e le acque sotterranee con metalli, idrocarburi, amianto ed altre sostanze nocive. Il comune è proprietario del terreno ed era in parte proprietario della società che aveva gestito l’impianto. Le autorità italiane hanno eseguito un’analisi ambientale tra il 1999 e il 2004; successivamente, hanno bonificato il terreno e stanno attualmente ripulendo la falda acquifera. Nessuna norma ha impedito all’impianto di inquinare mentre era in funzione.
I fondi dell’UE sono stati utilizzati anche quando le autorità non hanno applicato la normativa ambientale e imposto a chi inquina di pagare
67La Corte ha individuato otto progetti in Campania che hanno ricevuto 27,2 milioni di euro di fondi dell’UE per ripulire l’inquinamento provocato quando la legislazione ambientale dell’UE era già in vigore. Gli operatori responsabili delle discariche di rifiuti urbani non avevano rispettato la normativa ambientale applicabile. Le autorità pubbliche responsabili della supervisione dei siti in questione non hanno imposto agli operatori di ripulire l’inquinamento provocato. Questo utilizzo dei finanziamenti dell’UE non rispetta il principio “chi inquina paga”, come illustrato nel riquadro 3.
Riquadro 3
In una regione italiana la normativa ambientale non è stata rispettata: di conseguenza non è stato applicato il principio “chi inquina paga”
La Corte di giustizia dell’UE55 ha statuito nel 2007 che l’Italia, per una serie di discariche, non aveva rispettato la normativa dell’UE in materia di rifiuti destinati alle discariche per un periodo prolungato, causando un danno ambientale significativo.
Comuni o società pubbliche avevano gestito le otto discariche esaminate dalla Corte, quattro delle quali oggetto della suddetta sentenza, utilizzate per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani tra gli anni settanta e i primi anni duemila. Non avevano però rispettato i requisiti ambientali dell’UE in vigore, causando così un grave danno ambientale. Il contributo previsto dei fondi SIE per tutti gli otto progetti di bonifica dei siti delle discariche in Campania nel periodo di programmazione 2014‑2020 era di 27,2 milioni di euro.
Ad esempio, una delle discariche non prevedeva alcun accorgimento per proteggere dall’inquinamento il suolo, la falda acquifera o l’aria. L’operatore non aveva protetto il sito dallo smaltimento illegale di rifiuti, compresi quelli pericolosi, né durante il funzionamento né dopo la chiusura. Le autorità italiane hanno utilizzato 2,2 milioni di euro di fondi dell’UE per decontaminare il sito nel 2017 e nel 2018; dopo tale intervento, la Commissione ha ritenuto che il sito della vecchia discarica fosse conforme alla normativa ambientale dell’UE.
La mancanza di garanzie finanziarie a copertura della responsabilità ambientale aumenta il rischio che i costi siano sostenuti dai contribuenti
68Se gli operatori non dispongono di una garanzia finanziaria sufficiente, potrebbero non essere in grado di coprire i costi della bonifica dei siti da essi inquinati (paragrafi 56-62). La Corte ha rilevato che nel caso di quattro progetti di bonifica, del valore di 33 milioni di euro, l’operatore considerato responsabile dell’inquinamento era fallito. Di conseguenza, era stato necessario utilizzare fondi pubblici per decontaminare il suolo e l’acqua. Questo utilizzo dei finanziamenti dell’UE non rispetta il principio “chi inquina paga”, come illustrato nel riquadro 4.
Riquadro 4
Esempi in cui la mancanza di una garanzia finanziaria non ha consentito l’applicazione del principio “chi inquina paga”
Nel 1995, pochi anni dopo la cessazione dell’attività, un’impresa che fabbricava prodotti a base di amianto in Italia ha presentato istanza di fallimento. Prima dell’avvio della procedura di liquidazione, l’impresa ha iniziato a porre rimedio al danno ambientale causato dalla sua produzione, su richiesta del ministero italiano dell’Ambiente. Tuttavia, non appena iniziata la procedura fallimentare, il curatore fallimentare ha smesso di finanziare la bonifica. Di conseguenza, le autorità pubbliche regionali hanno proseguito la decontaminazione. Il progetto sottoposto ad audit dalla Corte ha ricevuto un sostegno di 7,1 milioni di euro. Prevedeva la demolizione di edifici al di sopra del piano terra e la messa in sicurezza dei materiali contenenti amianto depositati nel sotterraneo. Le autorità hanno completato i lavori nel 2019. Hanno avviato procedimenti giudiziari per recuperare i fondi utilizzati per le operazioni di bonifica, ma ritengono che sarà difficile recuperare i fondi da una società con una procedura fallimentare in corso.
In Polonia, le autorità ambientali hanno trovato sostanze tossiche nelle acque sotterranee e nel terreno su cui era ubicato un impianto chimico. L’inquinamento delle acque sotterranee rappresenta un rischio per la salute di coloro che risiedono nelle vicinanze e potrebbe propagarsi fino ad una zona Natura 2000. Nel 2000, le autorità regionali hanno avviato, nei confronti dell’industria chimica che non aveva decontaminato il sito, una procedura per richiedere la bonifica. Nel 2014, la società ha dichiarato fallimento e ha avviato una procedura di liquidazione. Le autorità hanno presentato un ricorso nel corso della procedura di insolvenza nel 2016, ma il curatore fallimentare non ha adottato alcuna misura correttiva e ha venduto parti degli impianti che impedivano il rilascio di prodotti chimici.
Secondo le autorità, l’infrastruttura si sta ulteriormente deteriorando e l’inquinamento continua a propagarsi e potrebbe essere difficile applicare la decisione giudiziaria che impone misure preventive o correttive a causa del fallimento. Le autorità hanno quindi utilizzato fondi pubblici, tra cui 17,3 milioni di euro provenienti dai fondi SIE, per rimediare ai danni ambientali su una prima superficie di 27 ettari. Le autorità stimano che l’inquinamento interessi alcune migliaia di ettari di terreno e che il costo totale della bonifica potrebbe superare i 540 milioni di euro.
Conclusioni e raccomandazioni
69Il principio “chi inquina paga” è alla base della politica ambientale dell’UE e prevede che chi inquina sia tenuto a sostenere i costi dell’inquinamento causato, compresi i costi delle misure adottate per prevenire, ridurre e porre rimedio all’inquinamento nonché i costi che questo comporta per la società.
70La Corte ha esaminato il quadro strategico dell’UE per il principio “chi inquina paga”, valutando in particolare se fosse applicato nei settori della politica ambientale dell’UE e nelle azioni della Commissione connesse alla direttiva sulla responsabilità ambientale (ELD) e se il bilancio dell’UE fosse al riparo dal dover sostenere le spese che dovrebbero essere a carico di chi inquina.
71In generale, la Corte ha riscontrato che tale principio viene integrato in varia misura nelle diverse politiche dell’UE in materia ambientale, e che la sua copertura e applicazione sono incomplete. Le azioni intraprese dalla Commissione a sostegno dell’attuazione della ELD negli Stati membri non avevano ovviato alle principali debolezze. Il bilancio dell’UE è talvolta utilizzato per finanziare azioni di bonifica che dovrebbero, in base al principio “chi inquina paga”, essere a carico di chi ha causato l’inquinamento.
72Il principio “chi inquina paga” è applicato in modo diverso nelle varie politiche ambientali dell’UE. Per quanto riguarda le emissioni industriali, la Corte conclude che tale principio si applica agli impianti industriali più inquinanti, che sono coperti dalla direttiva sulle emissioni industriali (IED). I proprietari degli impianti devono sostenere i costi connessi al rispetto degli obblighi stabiliti nelle autorizzazioni, tra cui quelli delle misure che limitano le emissioni al di sotto dei limiti stabiliti. La IED non si applica alle installazioni più piccole e non prevede che le installazioni sostengano il costo dell’inquinamento residuo per la società (paragrafi 20-25). Anche se la normativa UE sui rifiuti impone agli Stati membri di applicare integralmente il principio “chi inquina paga”, molti costi non sono coperti e sono necessari ingenti investimenti pubblici per conseguire gli obiettivi stabiliti in materia di riciclaggio (paragrafi 26-31). Benché siano stati compiuti progressi nell’affrontare il problema degli inquinanti specifici, per molte imprese il prezzo dell’acqua non copre i costi determinati dalle sostanze inquinanti che esse rilasciano nelle acque. Il recupero dei costi dei servizi idrici è difficilmente applicabile all’inquinamento proveniente da fonti diffuse, come ad esempio l’agricoltura (paragrafi 32-38). Non esiste un quadro generale dell’UE relativo alla protezione del suolo, sebbene molti atti legislativi contribuiscano indirettamente a ridurre le pressioni ambientali (paragrafi 39-41).
Raccomandazione 1 – Valutare le possibilità per integrare maggiormente il principio “chi inquina paga” nella normativa ambientaleLa Commissione dovrebbe valutare la possibilità di introdurre eventuali modifiche normative ed amministrative e analizzare i costi e i benefici complessivi di una migliore attuazione del principio “chi inquina paga”. In particolare, dovrebbe:
- abbassare i limiti di emissioni al fine di ridurre ulteriormente l’inquinamento residuo;
- lottare contro l’inquinamento diffuso delle acque proveniente da tutte le fonti, tra cui l’agricoltura.
Termine di attuazione: entro la fine del 2024
73La ELD stabilisce il quadro dell’UE in materia di responsabilità ambientale, basato sul principio “chi inquina paga”. La Corte ha riscontrato che la ELD prevede un’applicazione parziale di tale principio in caso di danno ambientale. Gli ultimi dati disponibili sull’attuazione della ELD, sebbene incompleti, indicano lacune nell’attuazione della direttiva in tutti gli Stati membri (paragrafi 44-48). L’ELD non definisce chiaramente alcuni concetti fondamentali, dando così adito a interpretazioni diverse e ad una diversa attuazione della direttiva nei vari Stati membri (paragrafi 49-55). L’assenza di una garanzia finanziaria obbligatoria a livello dell’UE fa sì che nella pratica sono i contribuenti a sostenere i costi della bonifica quando l’operatore che causa un danno ambientale diventa insolvente (paragrafi 56-62). La Corte ha concluso che le azioni intraprese finora dalla Commissione non sono state in grado di ovviare alle carenze della ELD.
Raccomandazione 2 – Esaminare la possibilità di rafforzare l’applicazione della direttiva sulla responsabilità ambientaleLa Corte raccomanda che, attraverso la valutazione della direttiva sulla responsabilità ambientale che dovrà essere ultimata nell’aprile 2023, la Commissione esamini la possibilità di:
- migliorare i criteri per definire il danno ambientale a cui la direttiva dovrebbe applicarsi;
- utilizzare maggiormente strumenti che forniscono garanzie finanziarie.
Termine di attuazione: entro la fine del 2023
74La Corte ha riscontrato che l’UE finanzia progetti che avrebbero dovuto essere posti a carico di chi inquina (paragrafi 63-68). In caso di “inquinamento orfano”, quando l’entità responsabile non ha potuto essere identificata o obbligata a pagare per il danno causato, l’utilizzo dei fondi pubblici era giustificabile e necessario per porre rimedio alla situazione (paragrafi 65-66). I fondi UE sono stati usati anche quando le autorità responsabili non avevano applicato a tempo debito la normativa ambientale (paragrafo 67). L’assenza di una garanzia finanziaria a copertura della responsabilità ambientale ha inoltre costretto le autorità ad usare fondi pubblici per ripulire aree inquinate quando l’inquinatore era insolvente (paragrafo 68).
Raccomandazione 3 – Evitare che i fondi dell’UE siano utilizzati per finanziare progetti che dovrebbero essere finanziati da chi ha causato l’inquinamentoLa Commissione dovrebbe:
- nel suo ruolo di autorità di vigilanza, subordinare l’utilizzo dei fondi UE per ripulire l’inquinamento allo svolgimento di controlli, attuati in collaborazione con gli Stati membri, volti a verificare che le autorità competenti abbiano adottato tutte le misure necessarie per far sì che i responsabili sostengano i costi dell’inquinamento da essi causato;
- esaminare la portata di modifiche legislative che richiedano l’uso di garanzie finanziarie per i rischi ambientali per gli operatori.
Termine di attuazione: 2025
La presente relazione è stata adottata dalla Sezione I, presieduta da Samo Jereb, Membro della Corte, a Lussemburgo, in data 19 maggio 2021.
Per la Corte dei conti europea
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Klaus-Heiner Lehne
Presidente
Allegato
Allegato I – Settori a cui si applica la direttiva sulle emissioni industriali
La direttiva sulle emissioni industriali si applica ai settori indicati qui di seguito. In alcuni settori, riguarda solo gli impianti al di sopra di una certa dimensione.
- Attività energetiche: combustione di combustibili in installazione, raffinazione di petrolio e di gas, produzione di coke, e gassificazione o liquefazione di carbone e altri combustibili
- Produzione e trasformazione dei metalli: arrostimento o sinterizzazione di minerali metallici, produzione di ghisa o acciaio e trasformazione di metalli ferrosi
- Industria dei prodotti minerali: produzione di cemento, calce viva e ossido di magnesio, produzione di amianto o fabbricazione di prodotti dell’amianto e fabbricazione del vetro, fusione di sostanze minerali e fabbricazione di prodotti ceramici mediante cottura
- Industria chimica: fabbricazione di prodotti chimici organici e inorganici, di fertilizzanti, di prodotti fitosanitari o di biocidi, di prodotti farmaceutici e di esplosivi
- Gestione dei rifiuti: smaltimento o recupero dei rifiuti pericolosi in impianti di incenerimento o coincenerimento dei rifiuti, smaltimento dei rifiuti non pericolosi e gestione delle discariche
- Fabbricazione di pasta per carta a partire dal legno o da altre materie fibrose, di carta o cartoni e di pannelli a base di legno
- Pretrattamento o tintura di fibre o di tessili
- Concia delle pelli
- Funzionamento di macelli e trattamento e trasformazione di prodotti alimentari o mangimi da materie prime animali e vegetali
- Smaltimento o riciclaggio di carcasse o di residui di animali
- Allevamento intensivo di pollame o di suini
- Trattamento di superficie di materie, oggetti o prodotti utilizzando solventi organici
- Fabbricazione di carbonio o grafite per uso elettrico mediante combustione o grafitizzazione
- Cattura di flussi di CO2 ai fini dello stoccaggio geologico
- Conservazione del legno e dei prodotti in legno con prodotti chimici
- Trattamento a gestione indipendente di acque reflue in circostanze specifiche
Acronimi e abbreviazioni
AEA: Agenzia europea dell’ambiente
BAT: migliori tecniche disponibili
DQA: direttiva quadro sulle acque
ELD: direttiva sulla responsabilità ambientale
EPR: Responsabilità estesa del produttore
Fondi SIE: fondi strutturali e di investimento europei
IED: direttiva sulle emissioni industriali
IMPEL: Rete dell’Unione europea per l’attuazione e il controllo del rispetto del diritto dell’ambiente
MAWP: programma di lavoro pluriennale
OCSE: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
Glossario
Azione per il clima: azione volta a contrastare i cambiamenti climatici e il loro impatto.
Fertilizzante: qualsiasi sostanza (di sintesi o biologica) contenente uno o più fitonutrienti, applicata sul terreno per preservarne o migliorarne la fertilità.
Fondo di Coesione: un fondo dell’UE per la riduzione delle disparità economiche e sociali nell’UE attraverso il finanziamento degli investimenti negli Stati membri il cui reddito nazionale lordo per abitante è inferiore al 90 % della media dell’UE.
Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR): fondo dell’UE che rafforza la coesione economica e sociale nell’Unione europea finanziando investimenti che riducono gli squilibri tra le regioni.
Garanzia finanziaria: qualsiasi strumento finanziario, come una polizza assicurativa, un contributo a un fondo ambientale, una garanzia bancaria, un’obbligazione o una riserva propria, che garantisca che un’impresa sia in grado di adempiere ai propri obblighi finanziari in caso di responsabilità.
Internalizzazione: misure adottate affinché i benefici o i costi non pagati siano inclusi nei prezzi dei beni e dei servizi.
LIFE: strumento finanziario a sostegno dell’attuazione della politica ambientale e climatica dell’UE attraverso il cofinanziamento di progetti negli Stati membri.
Limiti di emissione: la massa espressa in rapporto a determinati parametri specifici, la concentrazione e/o il livello di un’emissione che non possono essere superati in uno o più periodi di tempo.
Migliori tecniche disponibili (Best Available Techniques – BAT): tecnologie industriali, progettazione degli impianti e misure operative con la migliore performance ambientale, secondo quanto stabilito da una valutazione delle migliori pratiche in funzione della loro evoluzione nel tempo. Utilizzate per fissare valori limite di emissione e condizioni per l’autorizzazione degli impianti.
Politica agricola comune: politica unificata dell’UE in materia agricola, che prevede sussidi e diverse altre misure per garantire la sicurezza alimentare, offrire un tenore di vita equo agli agricoltori dell’UE, promuovere lo sviluppo rurale e proteggere l’ambiente.
Principio “chi inquina paga”: principio in base al quale chi inquina è tenuto a sostenere i costi dell’inquinamento causato, compresi i costi delle misure adottate per prevenire, ridurre e porre rimedio all’inquinamento nonché i costi che questo comporta per la società.
Regimi di responsabilità estesa del produttore: approccio che include nella responsabilità ambientale del produttore anche la fase del ciclo di vita di un prodotto successiva al consumo, comprendente il riciclaggio e lo smaltimento.
Responsabilità ambientale: gli operatori economici che provocano un danno ambientale sono tenuti a pagare per porvi rimedio.
Équipe di audit
Le relazioni speciali della Corte dei conti europea illustrano le risultanze degli audit espletati su politiche e programmi dell’UE o su temi relativi alla gestione concernenti specifici settori di bilancio. La Corte seleziona e pianifica detti incarichi di audit in modo da massimizzarne l’impatto, tenendo conto dei rischi per la performance o la conformità, del livello delle entrate o delle spese, dei futuri sviluppi e dell’interesse pubblico e politico.
Il presente controllo di gestione è stato espletato dalla Sezione di audit I “Uso sostenibile delle risorse naturali”, presieduta da Samo Jereb, Membro della Corte. L’audit è stato diretto da Viorel Ștefan, Membro della Corte, coadiuvato da Roxana Banica, capo di Gabinetto e Olivier Prigent, attaché di Gabinetto; Colm Friel, primo manager; Frédéric Soblet, capoincarico; Roberto Resegotti, vice capoincarico, Georgios Karakatsanis, Katarzyna Radecka-Moroz, e Anna Sfiligoi, auditor. Grafica a cura di Marika Meisenzahl. Cathryn Lindsay ha fornito assistenza linguistica.
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Note
1 Sulla base della visione esposta nel Programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020.
2 Programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020, “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta”, paragrafo 3 dell’allegato alla decisione 1386/2013/UE.
3 AEA, EEA 2018 water assessment.
4 AEA, Contamination from local sources, 2020.
5 AEA, Air quality in Europe, 2019.
6 OCSE, Recommendation of the Council on Guiding Principles concerning International Economic Aspects of Environmental Policies, 2020.
7 Jans, Jan H. and Vedder, Hans H. B., European Environmental Law, 2008.
8 OCSE, The Polluter-Pays Principle, Analyses and Recommendations, 1992.
9 OCSE, Recommendation of the Council concerning the Application of the Polluter-Pays Principle to Accidental Pollution, 1989.
10 UNCED, Rio Declaration on Environment and Development, 1992.
11 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
12 Ecologic Institute, Updated Inventory and Assessment of Soil Protection Policy Instruments in EU Member States, 2017.
13 The costs of not implementing EU environmental law, relazione finale, 2019.
14 Relazione speciale 13/2020 sulla biodiversità nei terreni agricoli: il contributo della PAC non ne ha arrestato il declino.
15 Informazioni della Commissione sull’ambiente e l’efficienza delle risorse nell’ambito della politica di coesione.
16 Regolamento (UE) 1293/2013.
17 Cfr. ad esempio, le relazioni speciali della Corte 19/2018, 22/2016, 23/2015, 02/2015, 04/2014, 23/2012, 20/2012.
18 Cfr., ad esempio, relazione speciale n. 23/2018 “Inquinamento atmosferico: la nostra salute non è ancora sufficientemente protetta”, relazione speciale 18/2020 “Il sistema di scambio di quote di emissioni dell’UE: l’assegnazione gratuita di quote doveva essere più mirata” e relazione speciale XX/2021 su PAC e Clima.
19 Commissione europea, Evaluation of the Industrial Emissions Directive (IED), SWD(2020) 181 final.
20 Ricardo Energy & Environment, Ex-post assessment of costs and benefits from implementing BAT under the IED, 2018.
21 Il Green Deal europeo.
22 Commissione europea, Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014‑2020, GU C 200 del 28.6.2014.
23 Articolo 8, paragrafo 4, lettere a) e b), della direttiva 2004/35/CE.
24 AEA, Costs of air pollution from European industrial facilities 2008‑2012, 2014.
25 I principali obiettivi vincolanti per vari flussi di rifiuti sono sintetizzati nell’analisi n. 4 della Corte: L’azione dell’UE per affrontare il problema dei rifiuti di plastica.
26 Study on investment needs in the waste sector and on the financing of municipal waste management in Member States, 2019.
27 OCSE, Financing Water Supply, Sanitation and Flood Protection, 2020.
28 OCSE, Financing Water Supply, Sanitation and Flood Protection, 2020.
29 Fitness Check of the WFD, SWD(2019) 439 final, p. 64.
30 AEA, Use of freshwater resources in Europe, 2020.
31 Assessing water pollution costs of farming in France, République Française, Ministère de l’écologie, Department for the Economics, Assessment and Integration of Sustainable Development, Studies and documents n. 52, 2011.
32 Fitness Check of the WFD, SWD(2019) 439 final.
33 Ascott, M.J., Gooddy, D.C., Wang, L. et al., Global patterns of nitrate storage in the vadose zone, 2017.
34 Ecologic Institute, Updated Inventory and Assessment of Soil Protection Policy Instruments in EU Member States, 2017.
35 Stima per l’UE‑25 (compreso il Regno Unito, escluse Bulgaria, Croazia e Romania), Impact assessment of the thematic strategy on soil protection, SEC(2006) 620.
36 JRC, Status of local soil contamination in Europe, 2018.
37 SWD/2016/0121 final, pag. 21.
38 SWD/2016/0121 final, pagg. 37 e 70.
39 Multi-Annual ELD Work Programme (MAWP) for the period 2017‑2020.
40 Multi-Annual ELD Rolling Work Programme (MARWP) for the period 2021‑2024.
41 Articolo 2 della direttiva 2004/35/CE.
42 SWD/2016/0121 final, pag. 60.
43 18th to 22nd ELD Government expert group meeting reports.
44 Considerando 9 della risoluzione del Parlamento europeo del 26 ottobre 2017.
45 Regolamento (UE) 2019/1010.
46 Comunicazione della Commissione 2021/C 118/01
47 Terms of reference of the IMPEL project.
48 SWD/2016/0121 final, pag. 35.
49 Articolo 14 della direttiva 2004/35/CE.
50 Fogleman, V., Improving financial security in the context of the Environmental Liability Directive, 2020, pagg. 127-128.
51 Fogleman, V., Improving financial security in the context of the Environmental Liability Directive, 2020.
52 Multi-Annual ELD Rolling Work Programme (MARWP) for the period 2021‑2024, pagg. 8-9.
53 Comunicazione della Commissione, Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014‑2020, 2014/C 200.
54 AEA, Soil contamination: the unsettling legacy of industrialisation, 2019.
55 Sentenza della Corte del 26 aprile 2007 nella causa C-135/05.
56 Il momento dell'Europa: riparare i danni e preparare il futuro per la prossima generazione COM(2020)456.
Cronologia
Evento | Data |
Adozione del piano di indagine (APM)/Inizio dell’audit | 11.3.2020 |
Trasmissione ufficiale del progetto di relazione alla Commissione (o ad altra entità sottoposta ad audit) | 26.3.2021 |
Adozione della relazione finale dopo la procedura in contraddittorio | 19.5.2021 |
Ricezione, in tutte le lingue, delle risposte ufficiali della Commissione (o di altra entità sottoposta ad audit) | 14.6.2021 |
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